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Cod Art 0391 | Rev 01 del 05 Apr 2013 | Data 23 Mar 2011 | Autore: Pierfederici Giovanni

 

   

 

TSUNAMI ......ITALIANI: dal 1600 al maremoto di Messina del 1908 - prima parte

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INTRODUZIONE

Dopo l’evento dell’11 marzo scorso, che ha colpito il Giappone e che ha provocato quasi 21.000 tra morti e dispersi, molti ci hanno chiesto se l’Italia corre un reale rischio "maremoto".
Introduciamo allora l’argomento per soddisfare la curiosità di coloro che ci hanno scritto e che ci hanno anche ricordato lontani eventi che hanno colpito il nostro paese, primo tra tutti quello di Messina del 1908.
I maremoti sono fenomeni naturali, scatenati da terremoti sottomarini e, in alcuni casi, da vulcani che sorgono in prossimità delle coste, o anche da imponenti frane sottomarine o subaeree che si riversano in mare, per cui, appare evidente, che il termine italiano "maremoto" non è del tutto soddisfacente. Il termine infatti, si associa più che altro ai soli terremoti sottomarini, per cui riteniamo opportuno utilizzare il termine giapponese "tsunami" che significa significa onda (nami) del porto (tsu); il termine è più generico e da preferire, visto che sono molteplici le cause che possono generarlo. Per essere più precisi, circa il 95% dei maremoti è associato ad eventi sismici sottomarini, il restante 5% ad altre cause.
Non tutti i terremoti sottomarini, però, sono in grado di generare maremoti. Perché questo si verifichi occorre che il terremoto abbia una profondità focale non troppo elevata, una magnitudo significativa e, soprattutto, abbia un meccanismo focale che provochi uno spostamento verticale del fondo marino in grado di mettere in moto la massa d'acqua sovrastante (Gallazzi S. C., 2009).

Storicamente, il più grande sisma tsunamigenico, di magnitudo 9.5, avvenne presso l’isola di Chiloe, nel Cile centromeridionale, il 22 maggio del 1960. Allora lungo la zona di subduzione di Nazca si ruppe una faglia lunga oltre 1.000 Km e si generò un’onda alta quasi 20 metri, che devastò le coste cilene e che provocò dei morti anche alle Hawaii, dove l’onda arrivò circa 15 ore dopo l’evento.
Lo tsunami del 26 dicembre 2004, avvenne lungo la zona di subduzione di Sumatra e Giava e, come sappiamo, fu uno degli eventi con il maggior numero di vittime, oltre 220.000, anche perchè la zona era densamente popolata e degradata dal punto di vista ambientale e, soprattutto, perchè è mancato un sistema di allerta efficace.

Altre zone di subduzione molto attive e a rischio tsunami sono quelle dell’Alaska e delle Aleutine, quelle della Kamchatka e del Giappone, quelle delle Tonga e Kermadec.

GENESI DI UN'ONDA DI MAREMOTO

Quando una zona molto amplia del fondo marino si sposta bruscamente, sposta verticalmente un volume d’acqua immenso e in pochi secondi. Si generano delle onde diverse da quelle create dai venti, poiché hanno un periodo e una lunghezza d’onda molto maggiore. Tutti quelli eventi che generano onde con queste caratteristiche, possono essere annoverati tra le cause di maremoto. Ma possiamo e dobbiamo includere nella definizione, anche il movimento rapido di masse che penetrano in mare o che scivolano sul fondo del mare, anche se i tempi di evoluzione di una frana (tipicamente minuti o decine di minuti) sono assai maggiori dei tempi associati agli spostamenti co-sismici (Tinti S., 2007). Esempio di maremoto da collaso di una parete vulcanica, l'evento di Stromboli del 30 dicembre 2002, che analizzeremo nella seconda parte dell'articolo.

Limitandoci ai terremoti sottomarini, quando essi sono abbastanza potenti (magnitudo maggiore di 6.5 della scala Ritcher) e interessano un’area molto vasta, si genera uno tsunami. Ecco, in sintesi, cosa accade:

1) la deformazione del fondale determina un movimento della colonna d’acqua sovrastante. Si genera una prima onda che subito si scompone (pochi minuti) e che si allontana dalla zona dell’epicentro; la prima onda prende il nome di tsunami locale, ovvero l’onda più vicina alla costa, la seconda prende il nome di tsunami distale, ovvero l’onda dalla parte opposta, quella che, per fare un esempio, ha raggiunto la California circa 24 ore dopo l’evento delle 14.46 dell’11 marzo scorso. Le due onde (locale e distale), hanno un’altezza che è la metà di quella originatasi subito dopo il sisma. Entrambe si muovo ad una velocità c pari a:

c = √gh (il simbolo indica la radice quadrata; g l'accelerazione di gravità; h la profondità del mare)

Quando un’onda o un treno di onde generate da un maremoto si muovono in alto mare e non risentono della profondità dei fondali, si muovo tutte alla stessa velocità, indipendentemente dalla loro lunghezza d’onda. Quindi dalla formula sopra si evince che maggiore è la profondità, maggiore è la velocità di uno tsunami.
Per esempio, in mare, su un fondale di 2.000 metri la velocità è: c = √9.81 x 2.000 = 140 metri/secondo, che corrispondono a 504 Km/ora. Ovviamente quando l’onda giunge in prossimità della costa, rallenta notevolmente. I media ancora spettacolarizzano queste catastrofi insistendo sul fatto che anche a terra, la velocità dell’onda equivale a quella di un aereo di linea, ma come è possibile vedere anche dalle numerose immagini televisive, la velocità, per quanto elevata, è notevolmente ridotta e mediamente si aggira attorno a valori di 35 – 45 Km/h. Vi sono stati casi in cui la velocità fu molto maggiore (il collasso della caldera del Santorini), ma comunque molto distante da quella di un jet di linea.

Schema di un'onda

Sopra, la rappresentazione di un'onda. H indica la sua altezza; h la profondità del fondale; L la lunghezza d'onda.

2) Tornando all'onda locale, questa man mano che si avvicina alla costa, con la diminuzione della profondità dell'acqua, comincia a rallentare; la sua lunghezza d’onda diminuisce e la sua ampiezza aumenta, per semplice conservazione del flusso di energia.
A volte, come accaduto a Sumatra e in Thailandia, l’onda vera e propria è preceduta da una sorta di bassa marea eccezionale (foto qui sotto, località sconosciuta). Questo accadde perchè l’onda dello tsunami era negativa e, sulla costa, si manifesta dapprima il cavo d’onda che rappresenta il punto più basso tra due creste (figura sopra) e che può essere ampio centinaia di metri. Come vedremo, anche in Italia molti maremoti si sono manifestati in questo modo. Se invece l’onda è positiva, non si ha nessun avvertimento e sulla costa arriverà per prima la cresta. Un luogo comune descrive l'arrivo dell'onda come un frangente che si abbatte sulla spiaggia, ma non è affatto così. Piuttosto si ha l'impressione di un'alta marea velocissima, o di una piena di un fiume che avanza inesorabilmente; solo dopo, all’arrivo del cavo d’onda, l’acqua si ritirerà. Regressione marinaMa solo dopo molti minuti o adirittura ore, dipende dal periodo dell'onda.
Per completezza,  ricordiamo che l’onda distale dell’evento del 2004 in Indonesia, che si è abbattuta lungo le coste dello Sri Lanka e dell’India era positiva, mentre l’onda locale abbattutasi lungo le coste della Thailandia e di Sumatra era negativa e la bassa mare eccezionale ha permesso ai locali di percepire il pericolo e fuggire in tempo.

3) Il primo runup (altezza dell’onda di maremoto), non è solitamente il più alto. Per questo è importante non tornare sulle spiagge dopo la prima onda, poiché a distanza di qualche minuto oppure di qualche ora, potrebbe giungere la seconda e più devastante ondata.

Il runup più alto mai misurato si ebbe nella baia di Lituya (Alaska). In seguito all’evento sismico del 9 luglio 1958, fu misurata l’onda più alta di sempre. Il mare infatti si sollevò di ben 516 metri disboscando completamente le colline prospicienti il mare. La magnitudo del terremoto, 8.6 della scala Ritcher, per quanto elevata, non ha permesso ancora di individuare cause e concause che hanno generato onde di maremoto così imponenti. Ricordiamo anche l’evento del 2 marzo 1933 con un runup di 303 metri; l'onda colpì le isole Hawaii; poi quello del Giappone del 7 dicembre 1944 con un runup di 200 metri; quello dell’Alaska del 27 ottobre 1936 con un runup di 150 metri; quello dell’Indonesia del 9 agosto 1979 e dell’Alaska del 1853, entrambi con un runup di 120 metri.

I MAREMOTI...ITALIANI

L’Italia è con Grecia e Turchia, il paese del Mediterraneo con il più alto numero di maremoti di cui si ha notizia. La media degli tsunami di casa nostra è abbastanza alta, circa 19 eventi ogni 100 anni. Tuttavia, il rischio complessivo e la potenza degli tsunami del Mediterraneo, non è paragonabile agli eventi che spesso si verificano nel Pacifico.
In Italia esistono testimonianze di tsunami a partire dal 1.300 a.C.  e sono più di 300 gli eventi individuati da allora. La maggior parte dei maremoti hanno interessato le coste siciliane  e calabresi, ma non mancano eventi che hanno interessato anche le coste tirreniche dell’Italia settentrionale e quelle adriatiche. I litorali maggiormente e più frequentemente interessati da tsunami sono, nell’ordine: costa Calabro Messinese, costa Garganica, Golfo di Napoli, costa Adriatica emiliano romagnola, Golfo di Genova, Golfo di Trieste, laguna Veneta, porto di Livorno, isole Eolie (Zecchi R, 2006).

La cartina sottostante riporta i principali eventi verificatesi in Mediterraneo (sono indicati solo gli eventi che hanno interessato l'talia), dal '600 al 1908 (gli eventi dal 1909 ad oggi sono descritti nella seconda parte dell'articolo); è possibile leggere l’elenco completo degli tsunami che hanno colpito il territorio italiano in Tinti S. I maremoti delle coste italiane. GeoItalia n. 19, Febbraio 2007.

Mappa tsunami Mediterraneo

I principali maremoti che hanno raggiunto le coste italiane dal '600 al 1908. Dettagli nel paragrafo sottostante

ELENCO E DESCRIZIONE DEI PRINCIPALI EVENTI DAL '600 AL 1908

NASO, MESSINA 1613
Il 25 agosto 1613 il paese di Naso (Messina), venne allagato da un’onda di maremoto.

ARGENTA, 1624
Il 19 marzo 1624 lungo il tratto del Po di Primaro (oggi Po morto di Primaro), nella valle di Comacchio, in seguito a un terremoto continentale e, probabilmente, anche in seguito alle condizioni meteorologiche avverse, un’onda risalì il fiume e si abbattè presso Argenta.

MAREMOTO DEL GARGANO E LESINA, 1627
Il 30 luglio 1627, le coste del Gargano furono interessate da un maremoto associate ad un sisma scatenato probabilmente dalla faglia di Apricena. Tra le località interessate, vi furono tutte quelle comprese tra San Nicandro e Fortore. Le vittime furono circa 5.000.
L’epicentro è stato individuato presso Lesina e, località come San Severo, furono completamente distrutte. A S. Severo le vittime furono 800; a Serracapriola 2.500; a San Paolo di Civitate 350.
Ricerche recenti, basate su studi sedimentari presso il Lago di Lesina, indicano che l’acqua si spinse per 3 miglia nell’entroterra. Si tratta della maggiore ingressione di acqua marina mai misurata in Italia (Zecchi R, 2006). Proprio nei pressi della foce del Fortore, il mare dapprima si ritirò per tre Km e poi si riversò sulla costa.

GOLFO DI NAPOLI, 1631
Il 17 dicembre 1631 un terremoto sottomarino fu avvertito a Napoli e Sorrento. Il Vesuvio eruttò la notte precedente. Presso Ischia e Nisida il mare regredì di 100 o 1000 yards, a seconda della fonte.

MAREMOTO DI AIELLO, 1638
Il 27 marzo 1638 un forte terremoto sconvolse Cosenza. Ad Aiello vennero distrutte 408 abitazioni; Altilia venne completamente distrutta e morirono 655 persone. Colpite numerosi altri paesi per un totale di oltre 2.000 vittime. A Pizzo Calabro il mare arretrò di 2.000 yards.

LAGUNA VENETA, 1661 E 1667
Il 22 aprile 1661 l’acqua dei canali di Venezia dapprima si ritirò e poi si sollevò velocemente, in seguito ad un terremoto con probabile epicentro in Romagna.
Sei anni dopo, il 6 aprile 1667 accadde la stessa cosa (ma prima vi fu il sollevamento delle acqua e poi la regressione), quando un violento sisma scosse Dubrovnick, causando la morte di 2270 persone. A Dubrovnick e nelle vicinanze si abbattè un’onda di maremoto.

MAREMOTO DI CATANAIA E MESSINA, 1693
Altri eventi susseguitesi in serie colpirono la Sicilia nel gennaio 1693. Il primo evento avvenne alle ore 21 del 9 gennaio; furono coinvolte dall’onda di maremoto tutte le località tra Catania e Augusta. Ad Augusta crollarono poco meno della metà delle case e si ebbero 200 morti. La scossa fu percepita a nord sino a Monteleone (l'attuale Vibo Valentia). Responsabile dell’evento sismico, probabilmente, la faglia di Avola, che si estende per circa 20 km separando le montagne di Avola dalla pianura costiera. La faglia controlla la topografia del territorio ed è caratterizzata da una scarpata rettilinea alta circa 290 m.
Un’altra scossa, avvertita però su un'area molto più vasta, interessò la stessa zona gia messa a dura prova da quella precedente, due giorni dopo, ovvero l’11 gennaio 1693, alle ore 13.30. Questa volta il sisma ebbe origine dalla faglia Occidentale, localizzata nell’offshore ionico (Bianca et al., 1999). Altre fonti indicano la Val di Noto come epicentro, vicino a Lentini, Carlentini e Melilli. Vi furono decine di migliaia di vittime e lo tsunami interessò anche le coste messinesi e del catanese. Solo a Catania, morì il 70% della popolazione. La città venne completamente distrutta. I morti furono 54.000, 12.000 solo a Catania.
La linea costiera fu inondata per una lunghezza di circa 230 km. A Messina il mare si ritirò di circa 100 m e successivamente invase la costa inondando il bacino del porto. L’inondazione più grande fu descritta a Mascali, dove il mare invase la costa per circa 1.5 km verso l’interno.
La località più colpita fu la città di Augusta, dove il mare inizialmente si ritirò lasciando il porto completamente asciutto, per poi attaccare la costa inondandola per circa 165 m verso l’interno. La città fu allagata fino al Monastero di San Domenico: le onde raggiunsero un’altezza di 15 m (Gallazzi, 2009).

MAREMOTO DI BAGNOREGIO 1695
Nel 1695 un terremoto colpì l’attuale comune di Bagnoregio. Le scosse iniziarono il 2 giugno. Altre repliche si ebbero nei giorni successivi e quella più forte, del 10 giugno, sconvolse la zona. Nel lago di Bolsena si formò un’onda con un runup massimo di 4 metri che inondò le campagne circostanti.

MAREMOTO DI APULIA, 1731
Il 20 marzo 1731 un forte terremoto colpì il sud Italia, causando circa 500 morti solo a Foggia. Seguiranno altre 50 scosse sino al 17 aprile. A Barletta, Cerignola, Canosa, Melfi, San Severo, Andria e Bari morino in tutto 2.500 persone. Un’onda di maremoto si abbattè nella parte nord di Apulia, ovvero l'attuale Puglia, lungo un fronte non ben delineato.

ANOMALIE ANTISTANTI LE ACQUE DI LIVORNO, 1732
Nel gennaio del 1742 una serie di eventi sismici colpì la Toscana.
La prima scossa avvenne il 16 gennaio, la scossa più forte il 19, alle 05.15 del mattino (altre fonti indicano il 20 gennaio). Testimoni dell’epoca narrano di un bagliore in mare. Entrambe le scosse ebbero effetti, comunque modesti, sulle acque del porto di Livorno. Tra i banchi di Meloria e Gorgona fu descritto un "enorme vortice", mentre nelle vicinanze l’acqua "correva veloce" e in assenza di vento, verso il porto di Livorno.

LE SEQUENZE SISMICHE DEL 1783
(Località interessate: Capo Rizzuto, Le Castella, Bivona, Pizzo Calabro, Scilla, Messina, Reggio Calabria, Stilo, Tropea, Poliolo, Castel Monardo, Vallelonga, Mileto, Monteleone, Squillace, Bagnara, Roccella, Bivona, Fossa, Catona).
Nel 1783 si verificò una sequenza sismica tra le più imponenti mai descritte. Terremoto 1783 Anonimo
Il 5 febbraio, alle 8 del mattino, uno tsunami (di intensità 3), interessò la costa ionica della Calabria. Capo Rizzuto e Le Castella vennero allagate. In entrambe le località, piuttosto vicine tra loro, il mare dapprima si ritirò (onda negativa).
Lo stesso giorno, quattro ore dopo, un altro tsunami (di intensità 11), colpì la parte sud della costa calabra, ma dall’altra parte, sul lato Tirrenico. L’onda allagò diverse località, furono danneggiati 380 villaggi e le vittime, tra terremoto e maremoto, furono 25.000. La magnitudo del terremoto, stimata, fu di 6.9 della scala Ritcher. Fonti dell’epoca narrano che le onde in realtà furono tre e, tutte, provocarono allagamenti e devastazioni. Lo tsunami fu descritto anche dai pescatori di Bivona e Pizzo Calabro.
Il giorno dopo, il 6 febbraio 1783 alle ore 00.20 un altro evento sismico interessò lo Stretto di Messina. Il sisma fece probabilmente collassare una parte del monte Campallà (monte Paci), a sud di Scilla. Il fronte franoso lungo oltre 450 metrì penetrò per quasi 100 metri sotto il mare e generò un’onda di altezza compresa tra i 9 e i 10 metri, che si riversò poi sulle coste calabresi e sicliane. Furono completamente allagate Scilla, Messina e Reggio Calabria. In particolare, la popolazione di Scilla dopo la scossa, si riversò sulla spiaggia e fu, inevitabilmente, sorpresa dall’onda. Morirono annegate circa 1.500 persone. Molti cadaveri vennero ritrovati lungo le spiagge.

Stampa terremoto 1783
Stampa dell’epoca raffigurante il terremoto del 1783.

In un secondo tempo venne allagata Marina Grande, quello che oggi è il quartiere denominato Scilla Marina o Marina di Scilla. L’acqua scavalcò poi il torrente Livorno è risalì per 200 metri verso Chianalea e Marina dell'Oliveto, dall’altro lato del promontorio. A Marina Grande la chiesa di Santo Spirito venne distrutta, sia dal sisma che dall’acqua, mentre la chiesa di Santa Maria delle Grazie, 90 metri dalla costa, venne allagata.
A Messina il mare si sollevò di circa 2 metri e il piccolo stagno del Pantanello venne completamente chiuso dai detriti. L'acqua inondò il mercato del pesce causando la morte di 28 persone. La sequenza sismica proseguì per molti giorni. Per esempio il lato ionico calabro, presso Stilo, venne nuovamente interessato da uno tsunami di modesta intensità il 7 febbraio 1783.
Il 1 marzo dello stesso anno uno tsunami allagò Tropea. Interessati dal sisma anche Poliolo, Castel Monardo, Vallelonga, Mileto e Monteleone.

Villa d_Oppido 7 Feb 1783 Reggio Calabria
Villa d'Oppido, Reggio Calabria 7 febbraio 1783

Il 24 marzo un altro sisma si verificò nello Stretto di Messina.
Il 28 marzo un sisma interessò il Golfo di Santa Eufemia e Squillace. Le cronache riportano l’allagamanto della città di Bagnara.
Il 7 gennaio 1784 uno tsunami investì la cittadina di Roccella, mentre due giorni dopo, il 9 gennaio, alle 2 del mattino, venne allagata Bivona.
Il 19 gennaio la cronaca riporta onde di maremoto tra Scilla e Torre del Faro; i paesi di Fossa e Catona vennero allagati.

ALTRI EVENTI TRA IL 1805 E IL 1908
(Località interessate: Baranello, Cantalupo, Frosolone, Vinchiaturo, Mirabello, Capri, golfo di Napoli, La Spezia, Genova, Cutro, Policastro, Roccabernarda, Rocca di Neto, Crotone, Catanzaro Lido, Steccato, Rossano Calabro, Corigliano Calabro, Calopezzati, Orciano Pisano, Cesenatico, Rimini, Cervia, Pesaro, Ancona, Diano Marina, Porto Maurizio, San Remo, Oneglia, Capo del Pezzo, Palmi, S.Cristina, Bagnara, Solano, Seminara, S.Procopio, Briatico, Martirano, Monteleone, S.Onofrio, Scalea)

Il 26 luglio 1805 un terremoto interessò e distrusse molti paesi del sud italia (Baranello, Cantalupo, Frosolone, Vinchiaturo, Mirabello). Colpite marginalmente anche Napoli, Pozzuoli, Salerno, Melfi, Spoleto e Roma. In totale le vittime furono 5.000. In questa occasione è stata documentata un’onda di maremoto, di modesta entità, a Capri e nel Golfo di Napoli.
Il 3 luglio 1809 uno tsunami (o un’ondata di marea eccezionale), investì la citta di La Spezia. Gli eventi scatenanti in questo caso non sono noti. Il livello del mare crebbe di circa un metro e l’acqua si ritirò solamente dopo 20 minuti. Il tempo è compatibile con il periodo di un’onda da maremoto (periodo compreso tra 5 e 60 minuti).
Il 9 ottobre 1828 un altro maremoto interessò la Liguria e Genova in particolare. In questo caso l’epicentro del terremoto è stato localizzato a 50 Km circa dalla costa (Valle della Staffora, presso Voghera), quindi sul continente. A parte i danni nei paesi dislocati attorno all’epicentro, al porto di Genova alcuni battelli furono seriamente danneggiati da un treno di onde anomale.
L’8 marzo 1832 un’onda di maremoto colpì le località di  Cutro, Policastro, Roccabernarda, Rocca di Neto. Molti danni si ebbero anche a Crotone e a Catanzaro (l’attuale Catanzaro Lido). L’area tra Catanzaro Lido e Steccato fu completamente inondata. Morirono 235 persone.
Il 25 aprile 1836, sempre in Calabria, 20 minuti dopo la mezzanotte, un terremoto distrusse completamente Rossano e Crosia; molti centri abitati vicini  abitati vicini (Cropalati, Caloveto, Calopezzati e Longobucco) vennero danneggiati. Uno tsunami allagò completamente la spiaggia di Rossano Calabro. Tra Corigliano Calabro e Calopezzati le acque avanzarono per 50 metri. Nella frazione di Cento Fontane furono trascinate via alcune imbarcazioni appartenenti ai pescatori locali; successivamente sulla spiaggia rimase un gran quantitativo di pesce.
Il 14 agosto 1846 un’onda di maremoto si abbatté  nel livornese. A Orciano Pisano furono rase al suolo 99 delle 113 abitazioni, a causa del sollevamento del mare, di circa 90 cm. Il numero delle vittime è incerto. Alcune fonti parlano di 384 morti, altre di 60.
Nel settembre dello stesso anno cominciarono, sempre in Toscana, strani fenomeni che si protrassero sino al 29 novembre 1846. Il 19 settembre un misterioso boato precedette dei movimenti anomali della superficie del mare; altro boato seguito da anomalie del mare il 4 ottobre; analogo fenomeno il 14 ottobre, ove numerose testimonianze parlarono di "mare rosso e stranamente alto"; anomalie del mare anche il 19 ottobre; rombi anche il 24 e il 28 ottobre seguiti da 'mare stranamente agitato'; il 29 novembre si udì l'ultimo boato, molto forte, seguito da mare agitato (Soloviev, S. Leonidovich).
Alle 23.51 del 17 marzo 1875 un sisma violentissimo interessò le zone di Cesenatico, Rimini e Cervia. L’epicentro fu localizzato proprio davanti alla costa riminese. Al porto di Rimini le testimonianze narrano di una bassa marea improvvisa, seguita due minuti dopo da un’alta marea. A Cervia, Cesenatico, Pesaro e ad Ancona le spiagge vennero allagate da "alcune grandi onde", che danneggiarono anche alcune imbarcazioni (Serpieri A., 1889).
Il 23 febbraio 1887 si verificò uno dei più devastanti terremoti che sconvolsero la Liguria, il cosiddetto  terremoto di Diano Marina. L’evento, ricco di dettagli è descritto su wikipedia, anche se non si accenna allo tsunami. A Diano Marina e a Porto Maurizio il mare crebbe di 30 cm., ma secondo altri autori il livello di runup fu maggiore, forse 1 metro. Anche a San Remo il mare crebbe di 1 metro. A Oneglia invece, il mare regredì di 4 metri (onda negativa). Studi recenti hanno messo in relazione l’evento del 1887 con la regressione della linea di costa tra Imperia e Ospedaletti (Eva, 1997).
Il 16 novembre del 1894, alle ore 17.52, la Calabria è nuovamente interessata da un maremoto. L’evento interessò anche le coste siciliane e campane. I danni maggiori si ebbero da Capo del Pezzo verso Palmi, con 100 vittime e oltre 800 feriti. Particolarmente colpite le località di Palmi, S.Cristina, Bagnara, Solano, Seminara, S.Procopio.
L’8 settembre 1905 l’ennesimo maremoto colpisce la Calabria. Distrutte dal sisma Briatico, Martirano, Monteleone e S.Onofrio. Le vittime, 550, perirono a causa del crollo delle abitazioni. Il mare si sollevò di 30 cm. circa. Ma lungo i litorali di Scalea e Catanzaro Lido l’acqua si sollevò di diversi metri. Questo evento è considerato uno dei più forti della storia sismica italiana, ma paradossalmente, pur essendo abbastanza recente, anche uno dei terremoti la cui conoscenza è più lacunosa. Il terremoto provocò molti effetti sulle falde acquifere e sulle acque superficiali. In diversi luoghi furono osservati fenomeni di liquefazione, delle spaccature del terreno, da cui uscì "acqua torbida in grande abbondanza". Feroleto Antico, Rizzo [1907].

IL MAREMOTO DEL 1908. MESSINA, REGGIO CALABRIA

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Lungomare Messina 1908
Il lungomare di Messina, 1908

Il 28 dicembre 1908, alle 04.20 del mattino, un violentissimo sisma colpì l’area della Calabria meridionale e della Sicilia. Messina e Reggio Calabria furono rase al suolo, insieme ad altre numerose località come Faro, Ganzirri, S.Agata, Pace, Camaro, Gazzi, Cannitello, Villa S.Giovanni, S.Gregorio ecc... Il sisma, preceduto da altre scosse nei giorni 5, 6, 23 e 25 dicembre, interessò un’area di oltre 6.000 Km2. Studi recenti parlano di un'area di 14.000 Km2.
Dopo la scossa del 28, che distrusse gran parte delle città dello Stretto e che di colpo fece abbassare il fondale marino di 1 metro, una grande onda di maremoto si abbattè su Reggio e Messina, causando altre vittime e spazzando via le macerie accumulatesi lungo la costa.
Presso Pellaro fu registrata l’onda più alta, circa 13 metri. Di numerose abitazioni, rimasero solamente le fondamenta. In alcune località l’onda più grande arrivò per prima, in altre invece fu preceduta da onde più piccole. Di seguito il runup dell’onda nelle diverse località:

Studi successivi hanno individuato come struttura responsabile del terremoto una faglia normale ad andamento NNE-SSW localizzata all’interno dello stretto di Messina, ma l’esatta geometria e cinematica di tale struttura è ancora oggetto di discussione (Pino et al. 2000; Valensise e Pantosti 2001; Billi et al. 2008). La lunghezza dell’onda provocata dal terremoto di Messina, registrata dalla nave Isis a 165 km a nord di Alessandria, è stata calcolata in 1.3 km, il suo periodo si aggirò sui 29 secondi e la sua velocità sui 161 km/ora (Caputo e Faita, 1987).

Avezzano 1908
Il castello di Avezzano, distrutto dal sisma del 1908

I cavi sottomarini tra Malta e le isole greche, posati a quasi 3.200 metri di profondità e lontani dall'epicentro circa 200 Km, vennero danneggiati circa 10 ore dopo l'evento. Ben 80 Km di cavi dovettero essere sostituiti. Probabilmente, in seguito al terremoto, una corrente di torbida investì e tranciò le condotte.

I marinai russi furono i primi ad intervenire ed estrassero dalle macerie numerose persone. Gli eventi furono poi narrati dallo scrittore russo Maxim Gorky, che all'epoca si trovava a Capri.

L'ONDA PIÙ ALTA
L’onda più alta in assoluto?
Dopo quella dell'Alaska nella baia di Lituya, descritta all'inizio dell'articolo, sicuramente quella della frana del Vajont, nel omonimo lago artificial; si generò un’onda anomala alta 230 m che scavalcò la diga e  provocò la morte di 1818 persone. L’onda si riversò sui paesi di Erto e Casso e proseguì nella valle del Vajont, fino a Longarone e lungo la valle del Piave fino a Belluno (altezza dell’onda 12 m) (Zecchi R, 2006).

BIBLIOGRAFIA

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